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Scientificamente Avis: Emofilia, il difetto della coagulazione del sangue

Tutte le persone, come ben sappiamo, subiscono danni minimi nel corso della loro vita quotidiana, che si tratti di lievi ferite, graffi o piccoli ematomi, nella maggior parte dei casi l’organismo è in grado di ripararsi da solo.

Diverso è però il caso degli individui affetti da emofilia, dove anche piccole ferite potrebbero, a seconda della gravità della malattia, causare grossi problemi.

 L’emofilia è considerata una malattia rara, che interessa circa una persona ogni 10 mila (sono circa 400 mila le persone affette nel mondo, di cui 5 mila solo in Italia), ed è oggi tenuta sotto controllo grazie alla somministrazione di fondamentali e particolari proteine necessarie all’organismo. Esse sono indispensabili per garantire agli emofilici una vita pressochè normale.

Ma che cos’è esattamente l’emofilia?

Si tratta di quella malattia del sangue dovuta alla carenza di uno dei fattori della coagulazione (fattore VIII se si parla di emofilia di tipo A, fattore IX per il tipo B), proteine normalmente prodotte dal fegato che hanno il compito di favorire il processo di coagulazione del sangue quando si verifica una fuoriuscita dai vasi sanguigni.

In assenza di questi fattori, il rischio emorragico sia a seguito di ferite o traumi, sia che si verifichi spontaneamente, è molto elevato, poiché l’organismo non è in grado di arrestare il sanguinamento.

Esistono diverse forme della malattia, da quella più lieve dove i fattori della coagulazione sono solo carenti (tra il 5 e il 40% di attività), alla forma più grave, dove essi sono pressochè assenti (meno dell’1% di attività del fattore coagulante). In quest’ultimo caso, il rischio di emorragie anche gravi è elevato.

L’emofilia è oggi trattata con una terapia sostitutiva, che consiste nella somministrazione del fattore mancante attraverso iniezioni endovenose (purtroppo, essendo le molecole in questione di grandi dimensioni, esse non possono essere assunte per via orale o con iniezioni sottocute). Queste molecole si possono ottenere sia dal sangue delle donazioni volontarie, che in laboratorio, con tecniche di ingegneria genetica che hanno portato alla realizzazione della proteina in questione di derivazione sintetica.

Il rischio, tuttavia, è che nell’organismo ricevente si sviluppino degli anticorpi diretti contro il fattore coagulante, che ne neutralizzano l’effetto. Per questo motivo, nei casi più lievi, l’iniezione viene fatta solo in caso di trauma o di operazione chirurgica pianificata, sostituendo in alcuni casi il fattore coagulante con un farmaco chiamato desmopressina, che stimola l’organismo a produrre fattore VIII (quando però vi è già una quantità residua presente).

Per gli emofilici più gravi invece, è necessario che l’iniezione endovenosa venga somministrata due, tre volte a settimana, in modo da mantenere i fattori della coagulazione ad un valore sufficiente per prevenire emorragie spontanee.

Come si trasmette l’emofilia?

L’emofilia è una malattia genetica, e quindi ereditaria. Accade a un emofilico su tre di essere affetto dalla malattia a causa di un’alterazione genica al momento della formazione di spermatozoi o ovuli.

Nella maggior parte dei casi invece, viene trasmessa da madre a figlio.

Il gene difettoso infatti, che è recessivo, viene trasmesso tramite il cromosoma X, indicato come cromosoma Xe.

Le donne cui viene trasmesso questo gene avranno quindi due cromosomi XXe, dove il primo – sano – garantirà la presenza dei fattori della coagulazione. Le donne quindi possono essere portatrici sane di emofilia.

Al contrario, i maschi portatori di un cromosoma Y normale e del cromosoma Xe “difettoso” sono colpiti dalla malattia che viene trasmessa dalla madre portatrice.

Nel 1800 l’emofilia colpì molti membri delle famiglie reali di Inghilterra, Spagna, Germania e Russia. Tutti i soggetti colpiti infatti erano discendenti diretti della regina Vittoria. Uno dei discendenti più famosi colpiti, fu il figlio dello Zar Nicola II.

A cura di Alessia Castiglioni

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